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Kindergarten

Threelakes & The Flatland Eagles, Rubbish Factory, Neko At Stella e tanti altri...

Kindergarten del 23 gennaio 2014

Threelakes & The Flatland Eagles “War Tales” CD UPUPA, 2013

     

Threelakes  - pseudonimo del mantovano Luca Righi – arriva al suo primo disco dopo un paio di Ep e tanti live nei quali si circonda – alcuni incontrandoli proprio in quelle occasioni – di tanti amici musicisti (le Flatland Eagles) che finiscono per diventare parte attiva e integrante della sua avventura artistica. Fra i tanti, Andrea Sologni dei Gazebo Penguins che lo ho ospitato nell'Igloo studio di Correggio per la produzione di “War Tales”, disco le cui canzoni rappresentano vere e proprie fotografie di guerra sorrette da un impianto musicale delicato ed evocativo, fatto di folk a tratti scarno a tratti impreziosito da altri strumenti (fiati, violini, lapsteel). Ispirato dai grandi padri della tradizione country folk americana e da quelli che la guerra l'hanno combattutta, il disco si rivela un equilibrio perfetto fra passato e presente, fra musica e parole, a raccontare della luce e del buio dei conflitti, “dove puoi nasconderti ma dove poi rischi di non trovarti più”.  Pat. C.

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Rubbish Factory “The Sun”, MODERN LIFE, 2013

      

Stoner rock energico, essenziale e senza sbavature: questo sostanzialmente quello che evoca l'ascolto dal primo disco del duo romano Rubbish Factory (Marco Pellegrini, voce/batteria e Gabriele Di Pofi, voce e chitarra). “The Sun” si apre con la canzone di lancio “Bamsa” e arriva come uno schiaffo violento a destare chi lo ascolta, catapultandolo in quegli scenari desertici da grande schermo, al confine tra Messico e Stati uniti, su cui lunga si staglia l'ombra del signore del rock granitico, Josh Homme. Non ne fanno mistero, i due, di essere stati ispirati da gente come i Kyuss, i QOTSA o i Soundgarden, dai loro riff tellurici e psichdelici, in cui il blues-rock incontra i fumi del rock lisergico. Ciò non può non valergli il famigerato appellativo di derivativo: ma alla mancanza di originalità sopperisce di gran lunga la sorprendente potenza e la solida coerenza di questo ottimo  esordio.  Pat. C.

 

Neko At Stella “Neko At Stella”, DISCHI SOVIET STUDIO, 2013

     

I Neko At Stella sono un duo formatosi qualche anno fa a Firenze che, dopo vari cambi di line-up, si è infine stabilizzato nel connubio artistico fra Glauco Boato (voce e chitarra) e Jacopo Massangioli (batteria), dando alle stampe il loro disco d'esordio a settembre scorso. Mixato in analogico da Matt Bordin dei Mojomatics e masterizzato a Chicago, questo esordio contiene undici tracce di rock-blues strisciante e seducente, che in alcune occasioni si fa più crudo e potente (“Joy” “As Loud As Hell”) e in altre sinuoso e lancinante (come per la bellissima “Like Flowers”, forse l'episodio più interessante, o anche per “The Flow” che sembra quasi un omaggio al blues oscuro di Mark Lanegan): la loro proposta risulta convincente, anche perchè mischiata a suggestioni psycho-folk, noise e shoegaze che  la smarcano da una pericolosa prevedibilità. Le progressioni chitarristiche roboanti e dal suono deciamente seventies fanno il resto, donando all'insieme un ritmo e una vivacità che difficilmente lasciano indifferenti. Pat. C.

 

Edoardo Cremonese "Siamo Il Remix Dei Nostri Genitori", LIBELLULA/DISCHI SOVIET  STUDIO, 2013

     

Fin dalle prime note di “Siamo il Remix dei Nostri Genitori” , secondo disco per il cantautore padovano Edoardo Cremonese, è ben chiaro quale sarà il mood che ci accompagnerà per la prossima mezzora:  quello di un cantautorato schietto in salsa pop dotato di una freschezza post-adolescenziale. Un disco che parla ad un'intera generazione, quella nata negli anni Ottanta, che si paragona ai propri padri uscendone quasi demoralizzata (come nella title track in apertura) ma che reagisce con quell'autoironia tipica dei nostri tempi: situazioni, personaggi, città descritte con  giocosa intelligenza e il distacco necessario per non affondare troppo nell'autocommiserazione. Il rischio dell'autorefernzialità è sempre dietro l'angolo, ma è scongiurato da un piacevole mix di musica leggera e gusto pop nella composizione dei testi. E come biglietto da visita in questo senso  arrivano – non a caso -  collaborazioni che pescano dall'humus indie (Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale) e dal miglior cantautorato di nuova generazione (Niccolò Carnesi, Ex-Otago). Pat. C.

 

Tomakin “Epopea Di Uno Qualunque", THE PRISONER RECORDS, 2013

     

Secondo disco per i Tomakin, band di recente formazione (l'esordio risale a poco più di due anni fa) di stanza fra Alessandria e Genova. “Epopea di Un Uomo Qualunque” è un album in cui a farla da padrone indiscusso è un synthpop tirato e curato, dove predominante è l'uso delle tasteiere, dei synth e degli effetti sonori, e in cui grande peso è dato altresì alle liriche, scritte in italiano, capaci di attirare fin da subito l'attenzione, anche perchè molto bene interpretate dall'ottimo Alessio Mazzei: storie ordinarie ma dotate di una sorprendente incisività. I brani che si susseguono rimagono infatti facilmente in testa, grazie anche al tocco “magico” che gli imprime uno che in fatto di cantautorato pop ne sa qualcosa, Michele Bitossi dei Numero6- Se questo sia un pregio o un difetto del disco, sta a chi ascolta decidere: di sicuro si tratta di un lavoro molto ben fatto e che denota talento nella composizione da parte dei giovani Tomakin. Da tenere d'occhio. Pat. C.

 

L'Amo “Niente (E' Un Bel Pensiero Da Mettere Tra Le Gambe Alle Ragazze”, FALLO DISCHI/TO LOSE LA TRACK/LLA FINE/V4V, 2013

      

L'Amo è il nome di un terzetto punk proveniente da Napoli, già conosciuto nell'ambito indie italiano per aver vinto il premio come miglior testo alle Targhe Giovani del MEI 2012. “Niente è un bel pensiero...” è il loro secondo disco, un concentrato di energia hardcore (o emocore, che dir si voglia) e staffilate di parole secche e nervose, in perfetto stile punk sia nell'attitudine che nei suoni sporchi e volutamente grezzi. I tre ragazzi ci sanno fare soprattutto con le parole, con testi talmente rapidi e concisi da essere quasi di difficile percezione. Se c'è un difetto che questo disco ha, sta nell'esagerata trasandatezza dei suoni, che rischiano di non esaltare adeguatamente la potenza espressiva delle parole,  lasciandoci il sentore di qualcosa di incompleto: la monotonia finisce per sopraffare l'attenzione dell'ascoltatore, penalizzando i buoni spunti che escono dalle casse. Rimane la curiosità per gli sviluppi futuri di un trio che ha tutte le carte in regola per raggiungere i livelli di gruppi a loro affini come gli Altro e i Gazebo Penguins: staremo a vedere. Pat. C.

 

Carmine Torchia “Bene”, RURALE/AUDIOGLOBE, 2013

     

“Bene” è il secondo disco per Carmine Torchia, cantautore calabrese girovago trapiantato da un po' a Milano. Il disco si apre con un omaggio a Piero Ciampi (“Ma che ne so!”) , quasi a mettere subito le carte in tavola: È un atto d’amore verso il poeta-cantante che ha segnato anni di ascolti e apprendistato” dice Torchia. A dire il vero, del cantautore de “Il vino” non c'è moltissimo in queste canzoni, se si esclude la vena amaramente ironica sulla condizione umana, che si trasforma in alcuni casi im denuncia sociale  dai toni scanzonati. Carmine Torchia è piuttosto un cantastorie che tratteggia ritratti (“Il Bacio del  Ladro”, “La Cinese e l'Italiano”)  di un'umanità strampalata e varia, accompagnandola con un tappeto sonoro ben arrangiato ed equlibrato, il più delle volte sostenuto da un ritmo marciante e orecchiabile, che dona all'ascolto una piacevole leggerezza a mo' di contraltare ai temi per niente “pop” trattati nei testi. Pat. C.

         

Nima Marie “Woollen Cap”, ORANGE HOME RECORDS, 2013

  

Un disco che scalda il cuore, fin dalle primissime note: “Woollen Cap” è l'esordio per Nima Marie, songwriter italianissima nonostante il nome (e la musica), originaria di Monza,  ma trapiantata in Liguria. Conquista fin dalla traccia iniziale “You Know I Do”, delicato pop-folk dalle movenze romantiche, una canzone che potrebbe stare perfettamente in qualche disco di Feist o di Joni Mitchell. Le atmosfere si mantengono su questi toni per tutto il disco, rallentandonella maggiorparte dei casi, ma colorandosi di bluesy in altri (“Forgive Me” sembra uscita dal repertorio di Ani Di Franco). Nima è poi bravissima a giocare con la sua voce, naturalmente intensa e seducente. Manca il guizzo che lasci il segno e sarebbe asupicabile una maggiore complessità nelle trame sonore, ma in generale questo lavoro scorre in un modo piacevolmente rassicurante e fa intravedere i primi segnali i di un talento cristallino. Pat. C.

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